Giovanni, il pioniere di Corte Quaiara

In fila al semaforo ho davanti un Ape Piaggio e penso “chissà se Giovanni ha ripreso i suoi giri con l’Ape?” No, non sono impazzita, sono solo tornata con la mente a fine ottobre scorso a vendemmia finita, quando finalmente riusciamo ad andare a Corte Quaiara, la cantina di Giovanni Montresor. Siamo sulle colline moreniche del lago di Garda a San Giorgio in Salici, in provincia di Verona, un terreno di origine glaciale ricchissimo di minerali ma con scarse sostanze nutrienti che costringe la vite a dare il meglio di sé e imprime in tutti i vini una decisa nota sapida. Giovanni è altrettanto diretto e deciso: senza tanti preamboli ci fa entrare piano piano nel suo mondo fatto da una cascina ristrutturata che ricalca la struttura di un tempo e da una stanza per le degustazioni che sembra la sala delle feste dei cavalieri. Attorno a una lunghissima tavolata ci presenta il suo Cuvée Saccomani Veneri, uno spumante metodo classico che passa 120 mesi sui lieviti, con una spuma alta che profuma di festa di miele e di uvetta. Uno spumante che parla di amore, pazienza e racconta la passione per lo champagne del nonno a cui è dedicato e, proprio come i grandi champenoise, è realizzato con Pinot Nero e Chardonnay.

Fuori, attraversata la corte, file di alberi di cachi da anni separano la cantina dalla strada sterrata che conduce alle vigne: alcuni vitigni che usa Giovanni sono inconsueti per la zona di produzione ma la terra che li ospita è un habitat ideale. Così, piano piano ci racconta di questa vigna dove per sfida e per amore del vitigno ha impiantato il Pinot nero, difficile da coltivare ma che regala grandi soddisfazioni, oltre al suo ottimo Pinuar anche quella di diventare ambasciatore della Borgogna con il titolo di Chevalier du Tastevin. E poco più sotto indica un’altra vigna dove ancora c’è qualche piccolo grappolo dorato di Goldtraminer che Giovanni, grazie a un viaggio tra l’Austria e l’Alsazia ha capito come utilizzare al meglio: insieme al suo pinot grigio e a un’uva bianca autoctona diventa Monte delle Saette, un bianco che ti trasporta in estate anche se fuori c’è la nebbia. Un po’ come l’effetto delle parole del padrone di casa che ascoltandole ti immagini tutto rigoglioso e vivo. La magia continua in cantina con botti, pupitre e con le anfore dove affina per quasi un anno il Pinot grigio, dai bellissimi riflessi ramati che si possono vedere dalle ampolle alla loro sommità.

E l’Ape? Beh, è un’idea geniale per promuovere e far conoscere i suoi vini: l’ha allestita come un mini track e ci organizza degustazioni on the road.

Giovanni non è di molte parole ma i suoi punti fermi sono ben chiari: la modernità e lo spirito pionieristico che lo spingono a sperimentare, il legame indissolubile con la sua terra e il rispetto dell’esperienza contadina, come quella di Antonio Obardi, suo mentore e a cui ha dedicato l’omonimo vino, che gli ha insegnato a capire le viti. I suoi vini sono fuori dagli schemi ma l’etichetta che li veste è ancora quella con la piccola quaglia, usata dal nonno 50 anni fa e questa apparente contraddizione è un valore aggiunto e la conferma di produrre vini che durano nel tempo. Esattamente come il rosso Verona Oseleta, un vitigno autoctono vigoroso e come Campo al Salice, un Garganega che proviene da viti con più di 40 anni, che richiedono attenzioni maggiori e producono vini aromatici, che possono invecchiare mantenendo integro il proprio carattere. E nel progetto visionario di Giovanni e della sua Corte Quaiara di carattere ce n’è in ogni goccia.

 

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